Potevamo immaginarlo prima?
Dieci anni fa il CEO e fondatore di InVision, Clark Valberg, si mise in testa di creare un’azienda di progettazione software a New York. I talenti nell’ambito dell’information technology non abbondavano certo sulla East Coast. Inoltre i costi degli spazi immobiliari di Manhattan erano già proibitivi. Come non gravare con un pregiudizio economico rilevante sull’azienda dato da costi operativi che non fossero i collaboratori? Il CEO decise di lavorare su creatività, fiducia, talento.
Oggi ha un’azienda che impiega più di settecento addetti, tutti che lavorano dove vogliono: da casa, da Starbucks, dal capanno di pesca sul lago Michigan eccetera, eccetera.
L’azienda è cresciuta moltissimo e solo nel 2018 ha realizzato una convention per far incontrare tra loro tutti i dipendenti. Un risultato straordinario che oggi è anche il suo punto di forza. Ogni collaboratore esprime il meglio di sé, ha più tempo per la propria famiglia, non deve costringerla ad attenderlo per via degli impegni di lavoro. Il che non necessariamente significa che non si stacchi mai, anzi. È tutta una questione di organizzazione.
Questo è solo un esempio e peraltro è già stato trattato da molti media internazionali e italiani: quindi non possiamo dirci che non era immaginabile. Avremmo potuto pensarci e soprattutto avremmo potuto applicare anche noi questo modello in un contesto nel quale impieghiamo ore per raggiungere l’ufficio e siamo costantemente distratti da impegni che ci fanno perdere un gran tempo.
Prendi ad esempio le riunioni: spesso indette senza un vero ordine del giorno, alle quali si arriva alla spicciolata, non di rado inconcludenti, e poi le pause caffè, sigaretta…
Esiste certamente un retaggio culturale che ci impedisce di accettare cognitivamente l’idea di lavorare senza una “subordinazione e coordinamento” come recita la legislazione. Questo vale per i datori di lavoro, che – diciamolo – sono ancora affascinati dall’idea di disporre dei propri collaboratori anche nella loro “fisicità”. Ma vale anche per i collaboratori, che non riescono a entrare nell’idea di rivestire un ruolo professionale, se rimangono a casa, magari in tuta e pantofole. La spallata è arrivata a fine febbraio. Sarà servita?
Quello che ci è accaduto, con l’emergenza pandemica, accelera un processo nel quale, se sapremo governarlo, tutti ne beneficieranno: collaboratori, imprese, mercato.
Il nostro paese stava collassando nelle polveri sottili, inchiodandosi in centinaia di chilometri di code in auto, deturpando da un’urbanizzazione di sedi secondarie, seconde case, cattedrali di cui non avevamo bisogno, spazzato da eventi atmosferici dovuti al surriscaldamento globale. L’arrivo della pandemia, oltre al dramma che abbiamo vissuto e al lockdown, che non ci saremmo mai augurati, ci ha fatto conoscere modalità alternative e creative di esercitare la produttività. A casa, sul terrazzo, in camera da letto. Abbiamo scoperto che la rete web tiene bene, realizzando decine, centinaia di meeting virtuali via web in video conferenza, scambiandoci file, generando processi di produzione (pensiamo alla produzione digitale di grafica, video, animazioni, audio dell’industria creativa della comunicazione).
Cast4 non ha mai cessato la propria produzione. Abbiamo creato i podcast e i video di Eni, gestito la web radio di Ducati Scrambler, creato la serie video e podcast Confronti – laboratorio di idee per il welfare e la sanità di domani, ideato e prodotto la seconda serie di podcast Sostenibilità for beginners in onda anche su Lifegate radio, gestito persino le sessioni di esame del corso di Elementi di Giornalismo dedicato al podcast per il biennio specialistico di design della comunicazione della NABA di Milano. E non ci siamo fermati un momento a riflettere… E invece no. Certo che lo abbiamo fatto. Generare consapevolezza è il nostro mantra di creatori di contenuti per le imprese: lo dobbiamo a noi stessi, per comprendere la realtà, ordinarla e restituirla in forma di corporate storytelling.
In particolare abbiamo avviato un progetto per analizzare, comprendere, approfondire come ci siamo sentiti in questo periodo di chiusura forzata, lontano dalle nostre abitudini, spesso in case troppo strette per essere vissute 24 ore al giorno sette giorni su sette. Lo abbiamo fatto con una nuova serie di podcast, @HOME – Tecniche di sopravvivenza, con la quale abbiamo fatto ciò che ci viene meglio: ordinare la realtà generando storytelling capace di farci riflettere.
Intanto lecchiamoci le ferite: l’esperienza di @HOME – Tecniche di sopravvivenza
Il progetto è nato quasi per caso, da un incontro con alcuni amici esperti di tematiche psicologiche e cliniche. Sono Angelo Maravita, psicobiologo dell’Università Bicocca di Milano e Stefano Guerrasio, divulgatore, docente di anatomia nella stessa università e medico ortopedico. La loro capacità di leggere la realtà e di offrirci un’interpretazione, unitamente alla loro rete di contatti che hanno arricchito il parterre di ogni puntata, ci ha dato la possibilità di gestire una condizione nella quale mai ci siamo trovati prima e probabilmente di cui potremo fare tesoro nell’organizzarci professionalmente e umanamente in futuro. Naturale che ci siamo esposti a una serie di fastidi, di disturbi, di piccoli grandi problemi relazionali da gestire con tanta pazienza, che significa consapevolezza. In qualche modo siamo migliorati come persone, comprendendo come fragile possa essere la nostra progettualità professionale in relazione a ciò che conta davvero. Siamo pronti a ripartire, questo è un dato di fatto. E siamo più forti, più creativi, consapevoli di quanti strumenti possono permetterci di liberare il nostro potenziale. Si siamo formati come individui e anche come organizzazioni, definendo la nostra identità aziendale. Sì: anche le aziende sono cresciute, così come è cresciuta la loro comunicazione. Una “Corporate social responsibility” che si è manifestata nella sua sostanza.
In @HOME – Tecniche di sopravvivenza abbiamo parlato di questo insieme a psicologi, esperti di mindfulness, personal trainer, medici specializzati in patologie domestiche, imprenditori. È stato un momento di pura narrazione, liberatorio e generativo. In qualche modo la piattaforma Gli Ascoltabili della quale siamo editori ha fatto anch’essa uno sforzo di trasformazione, creando il primo vero podcast talk show, che non sarà uno dei più gettonati, ma ci ha aiutato a uscire dalla nostra zona di comfort che rappresenta il nostro punto di forza: il talento dei nostri autori al servizio dello storytelling.
Cast Edutainment, un modello che è già un concetto di smart working
Approfittiamo di questa riflessione per annunciare un cambiamento importante: Cast4 presto diventerà Cast Edutainment. Si tratta di un’evoluzione naturale, dettata dalla consapevolezza che se vogliamo crescere come aziende, organizzazioni, società, persone, lo possiamo fare solo con un sincero interesse, con una passione che viene da quello che gli anglosassoni chiamano engagement e noi coinvolgimento. Fare storytelling di qualità mettendolo a disposizione della narrazione d’impresa, del corporate branding, della formazione per aziende e gruppi professionali, è un campo di indagine sempre più cruciale e strategico per chiunque voglia porsi grandi obiettivi di crescita. Crescere come organizzazioni crescendo come persone. Nella consapevolezza.