Mai come in questo momento di isolamento le aziende hanno necessità di attivare solide relazioni con il proprio pubblico. 

Mentre scriviamo, ripercorrendo il tema del nostro piano editoriale, pensato “in tempo di pace”, ci rendiamo conto che dobbiamo anche cambiare paradigma, nel riflettere su quali sono oggi i punti di riferimento delle aziende nei confronti di quelli che avremmo chiamato “mercati”.

Avremmo voluto accennare all’importanza della creazione di contenuti per le aziende, frutto di strategie di marketing ben precise, all’importanza che un buon piano di comunicazione corporate fosse alla base di una presenza consolidata nel mercato perché capace di creare legami solidi con i propri pubblici di riferimento. Ma è ancora vero?

Non vogliamo apparire catastrofisti, al contrario. Proprio perché vogliamo guardare oltre, ci imponiamo una riflessione su come abbiamo gestito la nostra presenza nel mondo all’era dei social e su come dovremo costruire nuove presenze, nel mondo che ci si pone davanti adesso, a fronte di questo immediato shock di sottoproduzione, sottoconsumo, sottocrescita. Da un po’ di mesi si parla tanto di “purpose”, ovvero l’acquisita coscienza sociale di un’impresa che si pone obiettivi più alti di una mission, di una vision, di un set di valori. Il purpose, che era considerabile al rango della next big thing del momento, è diventato improvvisamente indispensabile, per soggettivizzare l’impresa, riservarle un posto nella società. L’emergenza, la paura condivisa, l’acquisita consapevolezza che non siamo nulla senza la nostra dimensione sociale, su cui si fonda il principio di suddivisione del lavoro, ci hanno restituito un senso civico, fondato su una parola desueta sino a ieri: mutualità.

Il piano editoriale è stravolto e ha solo un main topic: #andràtuttobene

Qual’è dunque il purpose della vostra azienda? In che modo si veste di un significato che va ben oltre la creazione di beni e servizi di consumo, che si prende cura dei propri stakeholder (altro termine che cadrà presto in disgrazia, laddove la contrapposizione di interessi o al contrario la coagulazione di interessi affini, risultano assolutamente inadeguati a interpretare la realtà), che attiva relazioni profonde basate sulla fiducia?

Le leggere carezze di comunicazione emergenziale che le aziende stanno esercitando sulla pelle scottata dei propri pubblici (leggasi di noi consumatori), sono basate su parole d’ordine come “ce la faremo”, “insieme”, “andiamo avanti”, eccetera, eccetera. 

Beh, cominciamo a rilevare un cambio di persona: dalla prima singolare alla prima plurale! Quel “noi” che tanto non ci affascinava, nell’era del consumo individuale, della customizzazione, del mettere al centro le proprie necessità, come fossimo privilegiati in lista d’attesa per un posto in singola nella bolla della esclusività. Ah, che boccata d’aria fresca, quel “noi” nel quale si scopre improvvisamente che non siamo più polli da spennare, contribuenti da spremere, numeri di una curva algoritmica di un manuale di marketing. Quel “noi” cambia completamente il modo di impostare il business da oggi in avanti, e impone anche un modello di distribuzione diverso della ricchezza, la comprensione del contesto di riferimento, il senso di responsabilità nel mantenere vivo un humus sociale ed economico funzionale al nostro progetto imprenditoriale. Questo è il purpose. E non è servita la lettura di un manuale del settore “self help” della libreria, ci è voluto un cataclisma come quello che stiamo affrontando. Comunichiamo già in modalità diverse. I social sono veramente sociali (li abbiamo utilizzati sin’ora come canali broadcast, diciamoci la verità).

Un aspetto positivo c’è: siamo cambiati tutti. Siamo cambiati insieme (altra parola importante) Si sono abbassate le creste degli ultimi agitatori di folle in nome dell’interesse personale, abbiamo riscoperto l’importanza della condivisione, del riuso, del rispetto.

Dopo la parola “Noi” ecco arrivare la parola “Grazie”. Non in nome di un traguardo di fatturato, di numero di clienti, di fedeltà all’acquisto. Ma in nome della nostra stessa vita e di quella dei nostri collaboratori. Grazie a chi salva le vite negli ospedali a costo delle proprie vite, a chi produce il cibo, a chi trasporta i beni di prima necessità. E abbiamo piacere di non sentirle vuote, di rito. Ma cariche di riconoscenza, di valore.

Il suono di quel “grazie” suona diverso rispetto a quelli scritti sugli zerbini all’uscita dei grandi magazzini. Suona vero, sincero, profondamente ancorato al purpose che ci permette di alzarci la mattina e andare a lavorare PER qualcosa, che non è solamente il salario. Ma un senso di appartenenza. Qualcosa che ci piace raccontare quanto stacchiamo, che poi non stacchiamo mai…

È arrivato il momento di cambiare passo. Tatuarsi addosso questo messaggio e ricordarcelo ogni mattina.

So adesso come cambiare il nostro piano editoriale. La nostra azienda ha bisogno di contenuti come qualsiasi azienda sulla terra, anche se il suo prodotto primario si chiama storytelling. Contenuti di valore, nei quali offrire un contributo di senso, nel quale mostrare onestamente dove il valore si crea, e farlo vedere, lucidarlo per bene, come si fa dell’argenteria nelle migliori occasioni, insomma, contenuti con i quali parlare alle imprese clienti con animo leale, offrendo direzioni e soluzioni.

Il purpose non va costruito, va cercato, perché c’è e basta. È scolpito nelle nostre ambizioni, nei nostri sogni, nel nostro progetto di vita. Non necessita quindi di una campagna creativa. Ma una campagna di raccolta delle informazioni, di analisi della realtà, di messa in trama, di ordinamento dei fatti secondo un senso che ci appare logico, o emotivamente accettabile. Perchè i due aspetti del nostro essere, la razionalità e la creatività sono al pari necessari per ogni attività economica che abbia una chance di sopravvivenza. 

Molti di noi hanno vissuto anni di eccitazione professionale seguendo il mito della brillantezza nella comunicazione, della sorpresa per pubblici sempre più stimolati da “effetti wow” la cui asticella si piazzava ogni volta più in alto. Un’ebbrezza, quella dell’altitudine, dalla quale è difficile allontanarsi. Salvo che ci capiti quello che capita oggi. E scoprire che scrivere di queste cose, di piani editoriali, di manutenzione di rapporti sui social, di menzioni e di contatti ha un valore se ogni rapporto, ogni menzione, ogni contatto ha un nome e cognome. 

Raccontiamo il “noi” dentro ogni cosa e troveremo una parte di noi in ogni prodotto o servizio.

Sino ad oggi siamo stati molto fortunati. Abbiamo lavorato e lavoriamo per aziende per le quali il “noi” è sempre stato molto importante,. Un “Noi” allargato nel quale i portatori di interesse sono dentro e fuori dell’azienda, insomma, tutt’attorno. Le abbiamo raccontate attraverso reportage, racconti, filmati, progetti didattici, progetti giornalistici, podcast e articoli applicando il nostro metodo che è fatto soprattutto di ascolto. Un ascolto attivo che fa il paio con la capacità di immagazzinare informazioni, di farsi intridere di contenuti. Ora ci siamo: non è un lavoro di creazione di contenuti. Ma di scoperta. E allora lasciatevi scoprire!

Ora più che mai, che siamo polarizzati da un tema unico che occupa militarmente – è il caso di dirlo – le nostre vite, possiamo tentare qualche piccola sortita alla ricerca dello stupore che si trova in un prodotto, in un approccio, in un dialogo, che è poi ciò in cui fermamente crediamo, nella nostra continua corsa alla ricerca del bello.

E il bello, per nostra fortuna, ce lo abbiamo tutt’intorno. Ce ne siamo allontanati pensando erroneamente che potesse essere frutto di un pensiero. Quello che gli anglosassoni chiamano “design”, lasciando la parte sporca, la produzione, alle remote terre dell’oriente, la fabbrica del mondo. Anche loro belle, perché la bellezza è ovunque. Ma per favore, non chiamiamolo “made in Italy”. Adesso che noi Italiani ci siamo riscoperti cantanti dalle finestre all’ora dell’aperitivo, cuochi per i nostri compagni e compagne, attori per i nostri bambini, andiamone fieri, finalmente. Così che quando ci vorranno insultare a colpi di pizza e mandolino, ci faranno solo un favore. Perché noi abbiamo un posto in questo mondo. Un posto che esiste nella misura in cui è riconosciuto, e non per titolo di proprietà.

#grazie #noi #insieme