Le due pandemie del mondo globale: il Covid-19 e l’Infodemia

Quella che chiamiamo Covid-19 non è la storia di una pandemia, ma di due. La prima, che conosciamo tutti, ha a che vedere con la nostra salute e col nostro sistema sanitario. La seconda, meno discussa, ha a che vedere direttamente col nostro stesso sistema di vita. Stiamo parlando di quella che David J. Rothkopf – un giornalista del Washington Post – ben 17 anni fa ha definito infodemia, dall’inglese infodemic, a sua volta composto da information e epidemic. Si tratta di un neologismo che indica l’eccessiva circolazione di informazioni, non sempre provenienti da fonti accurate.

La pandemia e il mondo che sembra cambiare più velocemente di quanto cambi

Ora, che la pandemia da Covid-19 in corso abbia accelerato una serie di processi sociali e cognitivi, ormai ce lo diciamo da tempo. Così come ci diciamo, più o meno opportunamente, che l’epoca in cui viviamo è fatta di grossi e improvvisi cambiamenti. Questi mesi, iniziati con l’arrivo in Occidente del virus, a febbraio 2020, ci hanno posto di fronte ad alcuni imponenti interrogativi. È anche vero, però, che non si tratta di interrogativi inediti. Non del tutto, almeno. Pensiamo all’infodemia, appunto; alla mole di informazione che gli eventi hanno generato. Mastodontica, certo. E amplificata dai social media al punto da diventare annichilente. Ma, come dimostra la nascita dello stesso neologismo, è almeno degli anni 2000 che le informazioni si moltiplicano esponenzialmente e la circolazione va velocizzandosi. Tutto ci diceva già da tempo che saremmo arrivati a un punto in cui distinguere il vero dal falso, capire le ragioni e i torti, valutare la qualità delle opinioni sarebbe stato molto difficile. Impossibile, addirittura, per chi non ha ricevuto strumenti culturaliadeguati. Perché non ci siamo preoccupati di governare il processo?

Ecco, allora, che la questione ci porta alla responsabilità di chi vuole e deve offrire contenuti di qualità: editori, aziende, istituzioni. Di quali strumenti deve servirsi? A quali valori fare riferimento? Una prima risposta può venire dai nostri cavalli di battaglia: semplessità ed edutainment. Proviamo a vedere perché, procedendo con ordine.

Il web 2.0 e la gerarchia delle informazioni: edutainment e semplessità possono essere dei valori guida?

Delle due pandemie, quella che, forse, è potenzialmente più influente per il futuro è l’infodemia. Per una ragione molto semplice: non abbiamo un vaccino per combatterla. O meglio, sappiamo quali condizioni sociali ed economiche possono fermarla, ma è difficile capire come mettere in moto i processi in grado di generarle. In sostanza, queste condizioni sono le seguenti: un’opinione pubblica dotata di strumenti culturali adeguati e dei soggetti autorevoli che producono contenuti di qualità. Stiamo parlando di formazione e divulgazione. Di edutainment e semplessità.

Il problema del web 2.0 è sempre stato che non esiste una gerarchia dei contenuti. Anche su temi scientifici, come quelli relativi alla pandemia in corso, per esempio, ci si ritrova spesso nella condizione in cui il pensiero dell’opinion leader da blog ha più visibilità del commento dello scienziato competente. I contenuti di bassa qualità – senza fonti citate, senza valide argomentazioni, ecc. – spesso finiscono per occupare i primi posti nei risultati di ricerca di Google, lasciando in fondo gli articoli di alta qualità. Spesso, poi, il motore di ricerca e i social network, con i loro algoritmi, sembrano studiati per alimentare quelli che i neuroscienziati chiamano bias cognitivi. Di cosa stiamo parlando? Si tratta di pregiudizi, o meglio errori sistematici nel pensiero che si verificano quando le persone elaborano e interpretano le informazioni nel mondo che li circonda e influiscono sulle decisioni e sui giudizi che prendono.

La mole di informazioni e i bias cognitivi

Guardate l’immagine qui sotto, tratta da Verywell mind. Il cervello umano è potente ma soggetto a limitazioni. I pregiudizi cognitivisono spesso il risultato del tentativo del cervello di semplificare l’elaborazione delle informazioni. Questi spesso funzionano come regole pratiche che ti aiutano a dare un senso al mondo e a prendere decisioni con relativa velocità.

Verywell / Elise Degarmo

In altre parole, per gestire una mole troppo grande di informazioni, il nostro cervello ha bisogno di elaborare strategie per semplificare i processi. Crea, quindi, dei giudizi e delle decisioni “pre-impostate”, o delle griglie già pronte in cui inserire i dati. Tutto questo diventa estremamente vantaggioso per un animale come l’homo sapiens che ha bisogno di prendere in fretta delle decisioni legate alla sopravvivenza. Quando però questo animale si sposta dalla savana alla giungla urbana, queste scorciatoie mentali hanno delle controindicazioni importanti. Una su tutte? Di fronte a una mole enorme di notizie, tendiamo a scegliere solo ciò che conferma le nostre idee e visioni del mondo. A interpretare ogni informazione secondo i nostri schemi, a riportare tutto nelle nostre mappe mentali.

Ecco qual è il vero pericolo dell’infodemia. Invece di trovarci – come si potrebbe pensare – sempre di fronte a punti di vista diversi, a percepire la complessità del mondo e degli eventi, in realtà ci ritroviamo a vedere un solo punto di vista (il nostro) e a semplificare, banalizzando, tutto quello che leggiamo e vediamo. Essere bombardati di notizie manda in tilt le nostre capacità di analisi e valutazione. Unico antidoto sono strumenti culturali rodati, un pensiero critico allenato al metodo scientifico, la capacità di distinguere le fonti affidabili da quelle che non lo sono. In altre parole, la capacità di selezionare e di inserire le informazioni in degli schemi di conoscenza semplessi.

Capire, comprendere, intrattenere, istruire, aggiornare

Un programma piuttosto vasto che coinvolge diverse istituzioni e riguarda la società nel suo insieme. Però ogni attore del processo può cominciare a fare la sua parte servendosi di alcuni strumenti. Per prima cosa è necessario prendere coscienza del fenomeno. Chi produce contenuti di qualità – quale può essere per esempio un’azienda editoriale – deve porsi il problema di un pubblico continuamente colpito da stimoli di varia provenienza e, spesso, annichilito dalla complessità del reale. È per questo che deve competere e proporre a sua volta contenuti ingaggianti ma precisi, puntare alle emozioni senza rinunciare alle prerogative della razionalità e del metodo scientifico. L’edutainment, in questo senso, è un valore guida. Abbiamo già avuto modo di vedere come sia diventato ormai centrale nella comunicazione corporate. E non semplicemente perché attraverso i canali dell’education entertainment si possono far passare messaggi promozionali e di marketing. Ma perché le aziende hanno sempre più bisogno di comunicare la loro identità, il loro purpose e far conoscere la loro storia, in quanto momento essenziale del progresso civile e sociale dell’umanità. Comunicare e fare edutainment richiedono un importante lavoro di analisi e comprensione del mondo. La divulgazione sta dopo, e più in alto, della ricerca: richiede, in prima battuta, di studiare e comprendere.