Fact-checking: un’introduzione

La donzelletta vien dalla campagna,
In sul calar del sole
Col suo fascio dell’erba; e reca in mano
Un mazzolin di rose e di viole,
Onde, siccome suole,
Ornare ella si appresta
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine.

Quante persone conoscono questa poesia meravigliosa, composta da Giacomo Leopardi nel 1829? È Il sabato del villaggio, poesia che, per decenni, gli alunni più diligenti hanno imparato a memoria. Magari qualcuno oggi ricorda ancora l’incipit.

Perché cominciare con una poesia un articolo dedicato al fact-checking, vi starete chiedendo. Il sabato del villaggio – ma, in vero, numerosi altri componimenti di Leopardi, come La ginestra – è stato analizzato al microscopio da numerosi poeti e critici, fino alla famosa invettiva di Giosuè Carducci che, ai tempi, puntò il dito contro la canzone leopardiana: Il sabato del villaggio è inesatto: nessuna ragazza potrebbe tenere in mano un mazzo di rose e di viole, perché questi due fiori hanno due diversi periodi di fioritura.

Ora, Carducci forse ignorava volutamente che la poesia non deve nulla alla realtà, e che a Leopardi poco interessava l’essere verosimile, quanto piuttosto, voleva essere vero: e se ha scritto qualche inesattezza nei suoi componimenti, bene, ce ne faremo una ragione, e continueremo a farci suggestionare dalla sua lirica.

Ma cosa succede quando le inesattezze o i dati non verificati intaccano la comunicazione? Succede che si incappa in fake news, ovvero le notizie false, o semifalse, o semivere. L’impatto di una fake news può essere, oggi, devastante: lo sappiamo, ne abbiamo già parlato molto: i social sono il mezzo preferito delle fake-news, che si diffondono a macchia d’olio grazie alle condivisioni degli utenti che di certo non si fanno lo scrupolo di controllare se una notizia sia vera, oppure falsa. Dopotutto, perché dovrebbero?

Il problema avviene quando le fake news sono riscontrate in chi, la comunicazione, la fa di mestiere: pensiamo ai giornali e ai telegiornali, o agli editori, o all’educazione e alla formazione: verificare le fonti si fa non importante, quando fondamentale, perché ne va della credibilità del professionista che scrive la notizia, e dell’azienda che lo sostiene.

Fact-checking: verificare i fatti, sì, ma come?

Ok, ma cosa significa fact-checking? Letteralmente fact-checking significa ‘verifica dei fatti’. Con questa espressione intendiamo il processo che porta alla certezza che una data informazione trasmessa sia vera. Il punto non è solo verificare, ma capire quale metodo sia il migliore per avere la certezza di trasmettere l’informazione corretta.

Verificare i fatti, quindi, ma anche verificare le fonti. Il lavoro del fact-checker, ossia colui che si occupa della verifica dei fatti, è un lavoro a ritroso, che parte dalla notizia e ne smonta pezzo per pezzo, verificandone la veridicità e correggendo eventuali errori. Un fact-checker è in grado di distinguere i fatti dalle opinioni, e di lavorare esclusivamente sui primi.

L’importanza della verifica dei fatti è da non sottovalutare anche quando parliamo di dettagli irrilevanti: un articolo potrebbe riportare una notizia vera – come ad esempio la partecipazione di tal vip a tale evento – ma contenere un dettaglio, per quanto poco importante, fallace – come il colore di un abito che indossava. La precisione nei dettagli, seppur piccola, è un ottimo modo per creare nel lettore una sorta di fiducia e fidelizzazione: “se sei stato preciso per una cosa così piccola, allora potrai esserlo anche per le cose più importanti” è il pensiero che dovrebbe innescarsi nel pensiero del pubblico di riferimento.

Fact-checking passati alla storia: il caso Cheney

Le campagne presidenziali, si sa, sono terreno di sfida per tutti, in primis per i collaboratori dei candidati. Siamo negli Stati Uniti, nel 2004, e Dick Cheney, repubblicano, e John Edwards, democratico, sono in lizza per la vicepresidenza degli USA.

Da pochi mesi, da dicembre del 2003, per l’esattezza, l’Annenberg Public Policy Center della Annenberg School for Communication presso l’Università della Pennsylvania ha creato e finalizzato un sito web, FactCheck.org, pensato per aiutare gli elettori a non perdersi nella valanga di fake news – tanto comuni durante le campagne elettorali – e di affidarsi a siti certi e notizie vere, già, ovviamente, verificate.

Il 5 ottobre 2004, durante un dibattito politico tra i due candidati, incentrato in quel momento su un brutto affare relativo a una multinazionale del settore petrolifero Halliburton, John Edwards accusa pesantemente Cheney, che si difende facendo una sorta di appello agli elettori: «Se andate, per esempio, su FactCheck.com, un sito web indipendente sponsorizzato dall’Università della Pennsylvania, potete trovare i dettagli sulla questione Halliburton».

FactCheck.com, un dominio diverso, che caso volle fosse di proprietà di tale Frank Shilling. Il suo sito, che conteneva solo una serie di rimandi ad altri siti, vide in poco tempo aumentare esponenzialmente il traffico, fino a registrare oltre 100 accessi al secondo.

Oggi, neanche a dirlo, Shilling è diventato uno degli uomini più ricchi d’America, e il tutto per un errore di Cheney che nessuno ha corretto o rettificato.

Il fact-checking si può e si deve insegnare, meglio se con l’edutainment

Perdersi nelle fake news può capitare a tutti, eppure il fenomeno si potrebbe arginare – e non poco. Se forse non è possibile fermare la voglia dei boomer di condividere post sensazionalistici su Facebook senza leggerli – né tantomeno aprirli, d’altro canto basta leggere il titolo –, per le nuove generazioni si può fare qualcosa in più.

Innanzitutto, il fact-checking si può insegnare: si può insegnare agli studenti e alle studentesse di ogni età di essere un minimo critici davanti alle informazioni che ricevono; si può insegnare loro a essere in grado di affrontare il disordine informativo e di instaurare il pensiero critico, utile negli studi, e nella vita.

Una buona scuola dovrebbe stimolare gli studenti e le studentesse a esaminare le fonti di ciò che leggono, valutarne la credibilità, analizzare i contenuti e, infine, formarsi un proprio pensiero sull’argomento, nell’ottica di sviluppare una capacità di competenza trasversale che tanto è necessaria per rispondere alle sfide della realtà di oggi, ma anche di domani. Se poi tutto questo può diventare divertente, grazie agli strumenti dell’edutainment, tanto meglio.