Le aziende, si sa, hanno sempre più bisogno di trovare nuovi modi per inserirsi con efficacia nel proprio mercato di riferimento. Per fare questo, necessitano di professionisti esperti nel capire quali siano i valori, gli obiettivi e le informazioni rilevanti dell’azienda stessa, e quali elementi tradurre al pubblico in un linguaggio più semplice possibile.
Quali mezzi di comunicazione sono i più adatti a questo scopo, dunque?
C’è l’imbarazzo della scelta. Uno dei settori più interessanti che vale la pena approfondire, è il cosiddetto Brand Journalism, ovvero la creazione di una comunicazione ad hoc dell’azienda… fatta dall’interno dell’azienda. Scopriamola insieme.
Brand Journalism non è “marchetta” per l’azienda
Definire il brand journalism non è cosa da poco. Cercando di entrare nello spirito del brand journalism, il cui imperativo è “semplicità”, possiamo definirlo come giornalismo d’impresa nel quale l’azienda stessa si trasforma, in un certo senso, in un giornale, produce da sé contenuti relativi alla propria identità, e fornisce informazioni utili al consumatore o al pubblico di riferimento. Rivolgendosi direttamente al pubblico, infatti, e partendo in seno alla stessa azienda, il brand journalism permette una valorizzazione attiva dell’uno e dell’altra.
Se invece vogliamo proprio darne una definizione più precisa, possiamo chiedere in prestito la definizione data da Larry Light nel 2004, all’epoca Chief Marketing Officer di McDonald’s:
Il Brand Journalism è un modo per registrare e trasmettere quello che accade a un brand nel mondo, creando una narrazione di marca e una comunicazione che con il tempo può contribuire a raccontare l’intera storia del marchio e dell’azienda.
McDonald’s è stata una delle prime aziende che si sono rivolte al brand journalism per ribaltare radicalmente la brutta piega che, in quegli anni, stava prendendo, ma non è la sola. Vediamo allora esempi di brand journalism efficaci.
Il caso McDonald’s
All’inizio del nuovo millennio McDonald’s stava vivendo un momento di forte crisi, alimentata anche dall’uscita nelle sale del film Super Size Me. Era il 2004.
Focus del documentario era testimoniare come mangiare da McDonald’s inficiasse in modo significativo sulla salute delle persone, e il cibo prodotto dall’azienda fosse in grado di generare una vera e propria dipendenza in chi lo assume.
Spurlock, protagonista del documentario, ha mangiato per 30 giorni di seguito, per tre pasti al giorno, da McDonalds. Ha provato ogni piatto almeno una volta, e per mettersi nei panni dell’americano medio, ha ridotto l’attività fisica a circa 2500 passi al giorno – contro i 10000 consigliati. Oltre ai risvolti sulla salute di Spurlock – che prese 11 chili in un mese, e che ebbe tutta una serie di problematiche al fegato e al cuore – Super Size Me provocò un vertiginoso calo di clienti verso l’azienda: McDonald’s, era evidente, aveva un ruolo incisivo nell’aumento del tasso di obesità negli Stati Uniti; il più alto del mondo.
Da questa difficilissima situazione, però, Larry Light riuscì a uscire brillantemente, arrivando creare una strategia di comunicazione rivoluzionaria. Light era arrivato prima degli altri a una conclusione semplicissima: “Un brand è multidimensionale: un unico messaggio, una sola comunicazione non possono raccontarlo interamente.”
Era necessario trovare un nuovo punto di vista, qualcosa che avesse un impatto decisivo sulle persone. Certo, i ristoranti della catena dovevano subire un restyling completo, così come era necessario che si tornasse a mettere al centro la qualità del prodotto, evitando la tendenza dell’ultimo periodo alla trascuratezza, ma la comunicazione avrebbe fatto molto, molto di più. E la rivoluzione sarebbe partita proprio dal brand journalism.
Nello stesso modo in cui i giornalisti adattano i contenuti e lo stile alle diverse categorie di lettori, anche la comunicazione del brand deve per forza di cose adeguarsi, strutturando messaggi specifici che tengano conto non solo di chi sono i clienti, ma anche dove, quando e perché interagiscono col brand, che deve interessarsi ai loro bisogni e interessi. È la celebre formula delle 5 W, tanto cara ai giornalisti che devono scrivere le loro storie,. E, come possiamo vedere, la strategia ha funzionato.
Il caso Red Bull: migliorare il brand in poche, semplici mosse
Anche Red Bull ha dato una certa importanza al brand journalism – dato che, tra le altre cose, è dotata di un ufficio che si occupa prettamente di raccontare il brand.
L’azienda ha deciso di creare tutta una serie di eventi, piattaforme, storie e canali editoriali che agissero in parallelo alla pubblicità dei propri prodotti.
In questa direzione è nata la RedBull TV, la piattaforma on-demand che crea contenuti audiovisivi per tutti coloro che amano gli sport estremi. Ancora, il marchio possiede un magazine, The Red Bulletin. Che tratta diversi argomenti, dal cinema alla musica, all’imprenditoria. Senza perdere occasione, ovviamente, di raccontarsi. Ogni mezzo è lecito per arrivare al consumatore e fidelizzarlo.
Coca cola Journey, il magazine online di Coca Cola
Dulcis in fundo del nostro primo approfondimento dedicato al brand journalism, è il caso Coca Cola. Vuoi che il colosso mondiale non abbia pensato di darsi al brand journalism? Yes, of course.
Nel 2012 l’azienda ha creato il magazine online Coca Cola Journey, il blog online del marchio, contiene tantissimi articoli sulla storia del brand, sulle pubblicità passate, sulle curiosità che ruotano attorno al mondo Coca Cola, sempre con l’intento di creare un legame forte con il pubblico. Tra l’altro, dal 2014 è presente anche una versione italiana.
Con il brand journalism Coca Cola vuole trasmettere la propria brand identity ai clienti, arricchendo il marchio di contenuti e valori positivi. Non solo un prodotto iconico, ma la storia di un brand che conosce, e sa farsi conoscere, dal pubblico che, da anni, orbita intorno.
Perché le aziende vogliono sfruttare il brand Journalism?
Le aziende, ormai l’hanno compreso, devono assumersi le responsabilità all’interno della comunità in cui operano. Oggi il mondo digitale rende tutto più facile, e chiunque può interagire attivamente con la propria comunità. E farlo in maniera diretta, senza la mediazione di giornalisti e mass media, non può che essere una scelta vincente.