Dare valore alla sostanza: così il brand crea reputazione
Distinguere tra corporate brand e product brand è uno sforzo che ha sempre impegnato i grandi gruppi industriali e di servizi nel mondo. Piani di comunicazione brand storytelling hanno con sempre più forza spinto il brand a diventare ora un “lovemark”, ora un’estensione del nostro credo valoriale. Oggi è arrivato il momento di mettere tutti questi brand behind! Scopriamo insieme perché, partendo da alcune definizioni. Cos’è il corporate brand: nei grandi e medi gruppi, è l’azienda “cappello”, quella che detiene il controllo dei vari product brand. I due casi più eclatanti sono Unilever e P&G, nel settore dei beni di consumo; o ancora, nel mondo del lusso, i gruppi Richemont, Kering, LVMH, Capri Holdings (non fatevi ingannare, è americana). A valle si trovano i vari product brand riconosciuti dal pubblico di tutto il mondo. E, per non annoiarvi, citiamo solo Colgate, Calvé, nel caso dei beni di consumo e Mont Blanc, Bottega Veneta, Chloè, nel caso del lusso.
Molto spesso il corporate brand rimane nascosto nella percezione dell’acquirente, evidentemente per non offuscare il legame emotivo e valoriale che si genera grazie al prodotto o alla marca oggetto di desiderio.
Spesso si generano configurazioni societarie stile “matrioska”, nate più per diluire la generazione del valore a fini finanziari (se non fiscali), che poco hanno a che fare con i valori di trasparenza e di costruzione di un legame diretto tra gli stakeholder e le strategie del gruppo.
Gli scenari stanno cambiando vertiginosamente.
I gruppi finanziari e industriali attenti a questi mutamenti sempre più esprimono la necessità di giustificare le proprie scelte, esprimere la propria visione del mondo. E ciò non necessariamente a beneficio della comunità finanziaria, volta a decretare il valore di una quota azionaria, quanto piuttosto del pubblico, chiamato a rendersi consapevole dell’organizzazione, delle persone e della volontà di un gruppo di essere presente nel dibattito riguardante il nostro sistema economico basato sul consumo. Perché fare lusso? Come sfamare sette miliardi di persone? Come far uscire due miliardi di persone dalla povertà? Come ridurre il riscaldamento globale? Vi sembrano domande da aziende? Lo sono.
Da brand behind the brands, si è cominciato quindi a parlare di brand aside the brand, in quanto garante della qualità del prodotto. Lexus in quanto “luxury brand” di Toyota, beneficia dei valori di qualità totale del marchio giapponese e non è reticente nel mostrarsi. Anzi, è proprio dalla volontà di Eiji Toyota che viene narrata la nascita del brand.
Non proprio lo stesso approccio di Nissan nei confronti di Infiniti. D’altronde c’è un motivo perché ci sono i leader, gli apripista, e i follower.
Lo stesso dicasi del Corporate brand Volkswagen nei confronti di Audi e Porsche: la qualità è la stessa declinata verso l’alto e la narrazione di gruppo lo testimonia.
A scardinare il velo di omertà nei confronti del corporate brand, un nuovo modo di accedere all’informazione da parte del pubblico e l’interesse crescente a misurarsi con il prodotto non soltanto in termini di funzionalità e valore rispetto al prezzo, quanto nell’etica delle scelte industriali, di corporate social responsibility di gruppo (anche come si muovono i soldi è oggetto di giudizio etico) e di sostenibilità ambientale.
Ma questa è soltanto il primo tempo della partita. È appena iniziato il secondo, che determina una nuova trasformazione: da “brand behind the brand” a… brand behind!
Parlare di qualcosa di più grande di noi, aiuta a pensare in grande
Non ne sentirete parlare in giro, una comunicazione brand behind occorre permettersela: per il momento è appannaggio di veri leader. Un percorso che ha a che fare con un business nuovo che si affianca a quello tradizionale del brand. Quale che sia il business originario, per tutti c’è un nuovo business che è la content creation. Ovvero l’arte di creare contenuti rilevanti capaci di orientare l’opinione pubblica verso temi e risposte.
Per dirla come mangiamo: “vuoi conoscere qualcosa su questo business? Devi parlare con me!”
Imporsi come leader nel dibattito culturale su temi di vario genere come l’agricoltura, l’Italian craftmanship, l’energia, il risparmio gestito, richiede grandi sforzi di conoscenza. Una grande azienda di food, una firma prestigiosa della moda, una oil&gas company, una compagnia di assicurazioni, da sole, per il fatto di occuparsi di questi temi non sono necessariamente leader e riconoscibili come competenti. Ci vuole studio, approfondimento, elaborazione culturale. Un’attività che richiede specialisti, esperti, professionisti. Abbiamo spesso parlato dell’importanza di generare una comunicazione trasparente e non mediata, nel senso che possa essere riconosciuta diretta emanazione dell’azienda, del suo punto di vista. E così sono cominciate a nascere redazioni interne, gruppi di consulenti (noi di Cast Edutainment siamo tra questi), gruppi giornalistici che hanno generato spin off dedicati ai servizi per le imprese. Ma non basta.
Il contributo di senso in un contesto multidimensionale
Nasce così un contributo di senso che si trasforma costantemente, lentamente e inesorabilmente in consapevolezza strategica. In qualche modo anche questo articolo è un contributo di brand behind. Esplorare anche a livello informativo nuovi scenari determina consapevolezza di future direzioni, illumina ambienti in penombra verso cui dirigere un domani le proprie energie. Sapere quali saranno i futuri scenari della comunicazione per un’azienda come Cast Edutainment rappresenta un momento essenziale della sua crescita. Un presidio, quello che vede dispiegarsi una comunicazione “brand behind” che contemporaneamente consolida le relazioni con un pubblico che riconosce questi contributi come terzi rispetto agli interessi prevalenti, e arricchisce di purpose (ne parliamo diffusamente in questo articolo) il brand che se ne fa portavoce. Se quest’ultimo è il fine di ogni brand che vuole esistere e giocare un ruolo importante nel proprio mercato, allora generare contenuti di valore in costanza è una necessità incomprimibile, così come fare un passo indietro rispetto all’irresistibile tentazione di piazzare il proprio logo in testa a un articolo. La brand story sarà quindi molto più universale, decollerà dal terreno dei fatti che direttamente coinvolgono l’impresa per abbracciare il mercato, il contesto, l’intero business.
L’importanza di una strategia editoriale studiata nei minimi dettagli
Per accrescere la propria reputazione un’azienda deve ottemperare tutte le possibili opzioni attorno a un tema rilevante, deve dare voce a ogni opinione, deve immaginare scenari nei quali può non essere presente, ma lo è un suo competitor: come? Non si fa? Si fa, si fa.
È l’essenza dell’essere brand behind. Servire uno scopo più grande di noi stessi, uno scopo riconosciuto dal pubblico di riferimento, presidiare non un mercato, ma il concetto stesso del mercato, attraverso contenuti, opinioni, rappresentazioni di quadri complessi in continua mutazione.
Come tutte le strategie di brand reputation anche quella del brand behind richiede tanto studio e pianificazione. Ma soprattutto un metodo nell’immergersi nelle questioni di laboratorio o persino politiche, apprendere, intervistare gli opinion leader che definiscono i contorni dell’argomento, renderli protagonisti (in questo mettersi dietro le quinte), valorizzare i diversi punti di vista, offrire mappe di orientamento per inquadrare argomenti che spesso sono di ricerca, vorremmo dire pionieristici.
Ad esempio Barilla, con la sua fondazione BCFN, intende confermarsi leader nel dibattito su come sfamare sostenibilmente la popolazione mondiale senza depauperare irrimediabilmente il nostro pianeta. Altro che “panettiere globale”…
È un dato di fatto: oggi le imprese incarnano proprio questi valori innati dell’uomo: la ricerca, l’esplorazione, il desiderio di avventurarci in territori inesplorati, raccontarli a chi sta dietro di noi, guidarli verso nuove soluzioni e verso ciò che crediamo.
Non basta pertanto definire le tematiche note di un determinato argomento.